Atmosfera rilassata, tappeti sull’erba e buon vino. Questo è riassunto della prima edizione de “C’era una volta”, evento sui vini naturali svoltosi il 14-15 aprile a Ponte di Barbarano (VI). Immerso nella tranquillità più assoluta della Villa Traverso Pedrina poi, verrebbe davvero da chiedersi WHAT ELSE?
Tappa enoica fatta quasi per sbaglio in attesa del Vinitaly, che però nella sua semplicità mi ha colpito moltissimo, perché:
1 – maggioranza dei produttori e degli avventori straniera –> adoro
2 – prato verde su cui stendersi –> adoro
3 – villa del 1500 ristrutturata in mezzo alle vigne –> adoro
Lo scopo della manifestazione la spiegano gli organizzatori dell’evento sulla loro pagina Facebook:
L’obiettivo primario è quello di fare un po’ di cultura presentando una serie di vini dietro ai quali c’è una storia da raccontare e dei progetti agricoli coerenti e di grande onestà produttiva.
E devo dire che sono riusciti a centrare in pieno il loro obbiettivo: ai banchi abbiamo trovato, persone sincere come i loro vini, con le mani ruvide e la terra sotto le unghie, disponibili a spiegare per filo e per segno cosa stavamo assaggiando (anche nonostante la barriera linguistica).
I produttori erano circa una 40ina: siamo quindi riusciti ad assaggiare gran parte dei vini e anche a parlare quattrocchi con i vignaioli al banco di assaggio. Ma vediamo i nostri preferiti!
The wine cure sbevaccia a “C’era una Volta”
Costadilà (TV): simpaticissimi e chiacchieroni, portano in degustazione vini differenziati in base all’altitudine delle vigne. Da Conegliano non può mancare la Glera (quella del prosecco, ndr) alla quale aggiungono Bianchetta trevigiana, Verdiso, e Perera per produrre il loro VINO FRIZZANTE DA TAVOLA BIANCO 280 S.L.M. (giuro che si chiama proprio così). Rifermentazione in bottiglia secondo metodo tradizionale.
Jérôme Guichard (Borgogna, Francia): Wow! Non c’è altro da dire. Una sfilata di vini 100% chardonnay. In un caso, quello del Pet’ Nat, aggiungiamo anche un’esplosione di bollicine da rifermentazione in bottiglia, che abbiamo acchiappato, scappando poi come ladri. No dai, scherzo, abbiamo pagato, perché non siamo abbastanza #influencer.
Gut Oggau (Austria): questo produttore ha delle grafiche pazzesche e dei vini anche migliori. In degustazione avevano 3 blend: il ‘Rot 2016‘ (Zweigelt & Blaunfrankisch), il ‘Rose 2016‘ (Blaufrankish, Zweigelt, Roesler) e il ‘Weiss 2016‘ (Gruner Veltliner, Weissburgunder, Gewurtztraminer, Welschriesling). Questi tre vini sono stati creati per celebrare l’annata del 2016, di una qualità sorprendentemente alta nonostante il tempo ballerino.
Domaine Michel Guignier (Beaujolais, Francia): dopo aver bevuto tutta la linea, smozzicando un francese io tarzan tu jane, abbiamo scoperto di aver fatto una figura di m* con nientepopodimeno che uno dei migliori produttori di gamay francese. Eh vabbè, abbiamo comprato una bottiglia di Moncailleux e ci siamo stretti la mano.
A proposito, leggevo qualche recensione su internet che definisce il Moncailleux di Guignier un vin de soif, cioè un vino facile e piacevole da bere, quasi dissetante. Ho già detto che ne ho comprato una bottiglia?
Yann Durieux (Borgogna, Francia): meglio conosciuto come il vignaiolo rasta della la Côte d’Or. È stato circondato dalla bolgia all’incirca fino a dopo pranzo, quando ha saggiamente deciso di defilarsi per mangiare qualcosa. Quindi, abbiamo assaggiato due o tre dei suoi famosi Pinot Noir. Purtroppo il ragazzotto svedese che lo sostituiva (uguale a Capitan Findus) non sapeva praticamente niente di quello che stava versando. Beh, lui era simpatico, le sue storie divertenti (a quanto pare dopo 15 anni nella moda si stava riciclando come stagista in vigna) e il vino ottimo –> c’era però talmente tanto casino che non si capiva cosa stessimo bevendo. *SOB*
Ah, PS: Bonus assoluto per il momento pausa pranzo agli stand gastronomici con alette di pollo biologico allevato a terra e panino con crudo di parma e pane lievito madre e farina Petra. Mangiato sul prato.
Top.